Chetogenesi e chetosi: sciogliamo alcuni dubbi
Perchè questi termini sono spesso associati alle diete iperproteiche e generano confusione.
Molti dei lettori di questo articolo avranno già sentito parlare di chetogenesi e chetosi, senza però, spesso, ricevere delle definizioni coerenti e precise che spieghino il significato vero di queste parole e dei meccanismi biochimici che ci sono alla base.
Sono termini che spesso vengono associati alle diete iperproteiche, generando confusione, poiché partono da principi sbagliati.
La chetogenesi, tecnicamente, è la via metabolica che porta alla produzione di corpi chetonici a partire da una molecola, presente nel nostro organismo, che prende il nome di AcetilCoA.
I corpi chetonici si producono quando la molecola di AcetilCoA viene a sua volta prodotta dalla beta-ossidazione degli acidi grassi.
Così la molecola di AcetilCoA può entrare nel cosiddetto Ciclo di Krebs e consentire alla cellula di produrre energia, a lei essenziale per svolgere tutte le sue funzioni.
In pratica, la chetogenesi, consente di bruciare grassi a scopo energetico, che è il principale fine di tutte le cellule del nostro corpo, per rimanere in vita.
Dunque, la chetosi è legata specificatamente al metabolismo dei grassi e, non delle proteine.
Per attuare una dieta chetogenica non occorre che ci siano tantissime proteine, ma servono invece tanti grassi (quelli del tessuto adiposo di un soggetto obeso) e soprattutto pochissimi carboidrati.
Dal metabolismo proteico, infatti, possiamo ricavare energia dalla gluconeogenesi, cioè quel meccanismo che permette di produrre glucosio a partire da precursori non saccaridici come il piruvato, il lattato, il glicerolo e, per l'appunto, gli amminoacidi di derivazione proteica.
Il glucosio è così disponibile per quelle cellule che non sono in grado di utilizzare i corpi chetonici come fonte di energia (ad es. i globuli rossi).
Perciò, queste diete sono veramente così pericolose come molti affermano? Oppure, tutto sommato, hanno una logica metabolica che le rende interessanti e, perlomeno, gestibili nella fase più delicata di un alimentazione volta al dimagrimento?
E’ utile ricordare che, in tale filosofia alimentare, la scelta di zero carboidrati è da associare solo al primo periodo (da un minimo di 10 giorni ad un massimo di 21 giorni) perché poi subentra un graduale reinserimento di questi ultimi.
Infatti, piuttosto che parlare di dieta, è più corretto riferirsi ad un insieme di metodi, che sono dei trattamenti alimentari, poiché sono pensati per essere intrapresi e poi abbandonati, ripetibili come dei cicli di cura.
La sicurezza dei tre metodi di LIPOSUZIONE ALIMENTARE è, pertanto, assicurata da processi biochimici ben conosciuti, regolati da fattori ormonali (prevalentemente l’insulina) e mantenuti per breve tempo.
(immagine da Wikipedia)
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Note sull'autore
Dott.ssa Silvia Barrucco
Medico Chirurgo Nutrizionista
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